“RAEE in carcere”: percorso di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e per la tutela ambientale

In un’epoca in cui la tecnologia domina il quotidiano, la gestione corretta dei rifiuti elettrici ed elettronici diventa sempre più cruciale per evitare danni all’ambiente. Ma cosa succede quando un’attività di smaltimento responsabile degli scarti incontra l’opportunità di agevolare una tipologia di lavoratori che altrimenti faticherebbe oggettivamente a trovare un’occupazione “ordinaria!? È in questo contesto che nacque “RAEE in carcere”, un progetto pionieristico che unì due sfide essenziali del nostro tempo: la sostenibilità ambientale e il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti. Attraverso il trattamento e il recupero di apparecchiature tecnologiche dismesse, le persone in carcere non solo trasformarono i rifiuti in risorse, ma appresero al contempo nuove competenze per costruirsi auspicabilmente un futuro migliore.

Nell’articolo vedremo in dettaglio le origini del progetto, in cosa è consistito, qual è l’impatto sulla collettività e i risultati raggiunti. Approfondiremo inoltre il ruolo delle aziende coinvolte, come ad esempio Dismeco, leader nel settore del riciclo dei RAEE, che cura da anni iniziative innovative per il territorio e la comunità di riferimento.

progetto raee in carcere

“RAEE in carcere”: genesi del progetto e strutture coinvolte

Il progetto “RAEE in carcere”, avviato ufficialmente nel 2005, rappresentò la prima iniziativa a livello nazionale intercarceraria e interprovinciale per coinvolgere i detenuti nel riciclo di rifiuti elettrici ed elettronici. Nato grazie alla partnership tra Equal Pegaso, istituzioni pubbliche, Hera, Techne e altre cooperative, trovò subito terreno fertile in Emilia Romagna, nelle carceri di Bologna, Ferrara e Forlì, in cui i detenuti ancora oggi lavorano, in parte, nel pretrattamento dei RAEE per il recupero dei materiali di scarto.
La cornice normativa fu il decreto legislativo n. 151 del 2005 che, recependo le direttive europee in materia di RAEE, introdusse nuove disposizioni sulla gestione dei rifiuti di questo tipo. Ciò contribuì a una considerevole crescita dei laboratori all’interno degli istituti penitenziari, grazie anche all’inserimento di nuovi partner, come enti di formazione e imprese private.
Nel 2007 “RAEE in carcere” ricevette un impulso importante grazie a un primo Accordo Quadro Territoriale, poi aggiornato nel 2009, con una delibera della Giunta dell’Emilia Romagna che lo rese finalmente operativo. In quella occasione furono formalizzati gli accordi tra le istituzioni locali, la casa circondariale “Rocco D’Amato” di Bologna, nota come la Dozza e Dismeco. L’azienda di Marzabotto (BO), particolarmente attenta all’impegno sociale grazie a iniziative per la comunità e il territorio, allestì all’interno del penitenziario un laboratorio specializzato per il trattamento dei rifiuti tecnologici fornendo nel contempo un’adeguata formazione ai detenuti, diventando un esempio concreto di responsabilità sociale e sostenibilità ambientale.
Sempre nel 2009, la creazione di una Cabina Regionale di Monitoraggio garantì la continuità del progetto, con la partecipazione di diversi Assessorati regionali, impegnati a promuovere la visibilità dell’iniziativa e a consolidarne l’effettiva operatività.
A partire dal 2010, i primi risultati furono confortanti: proprio quell’anno 21 detenuti completarono la fase formativa, e 9 furono assunti dalle cooperative che gestivano l’attività, per svolgere il lavoro di smontaggio e pretrattamento dei RAEE. Pochi anni dopo, nel 2014, a certificare l’efficacia del modello e la sua valenza sociale, il Comitato italiano promotore della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti premiò “RAEE in carcere” fra i progetti virtuosi dell’amministrazione pubblica, riconoscendone le finalità sociali anche a livello europeo. Oggi l’aspettativa è che “RAEE in carcere” possa essere ripreso con forza per compiere ulteriori passi in avanti, generando un positivo meccanismo circolare.

Gli obiettivi: salvaguardia ambientale e recupero sociale

L’iniziativa perseguì fin dall’inizio un duplice obiettivo: contribuire alla sostenibilità ambientale, favorendo il riciclo dei RAEE, e rispondere ad un bisogno sociale specifico, ovvero la difficoltà dei detenuti di trovare un lavoro una volta scontata la pena. Fornire loro specifiche competenze tecniche e collocarli in processi a carattere industriale, significò infatti promuoverne concretamente il reinserimento sociale e lavorativo.
Nei laboratori istituiti all’interno delle carceri di Bologna, Ferrara e in uno esterno a Forlì, i detenuti furono formati da personale competente e impiegati nello smontaggio e nel pretrattamento delle apparecchiature. Per l’impegno richiesto, fra le 15 e le 30 ore a settimana, fu erogata regolare retribuzione.
In un anno furono trattati fino a 1.000 tonnellate di rifiuti, con una percentuale di recupero si attestò attorno all’85%, con benefici ambientali significativi come il risparmio di 2 milioni di kWh di energia e il riciclo di centinaia di tonnellate di materiali, tra cui ferro, rame, alluminio e plastica.
Nonostante i progressi registrati, le sfide non mancarono. Il turnover dei detenuti fu infatti considerevole e il trattamento dei rifiuti hi-tech richiede una professionalità elevata, che necessita di un periodo formativo e un impegno continui. Tuttavia, come rilevò nel 2014 l’allora responsabile del laboratorio RAEE presso il carcere della Dozza di Bologna, Daniele Steccanella, “l’iniziativa continuava a offrire una goccia di riscatto e di dignità per alcuni lavoratori che altrimenti faticherebbero a trovare un’occupazione”. In alcuni casi, infatti, gli ex detenuti trovarono un impiego nel settore, testimoniando il successo del programma come strumento fattivo di reintegrazione sociale. Dismeco stessa fu la prima azienda in Italia che assunse regolarmente un detenuto, che operava con gli altri dipendenti, dal mattino, per poi rientrare nella casa di detenzione a fine turno di lavoro.

Dismeco per il sociale: un impegno concreto per la comunità

I lodevoli obiettivi di “RAEE in carcere” sono perfettamente integrati con le azioni di sostenibilità ambientale e inclusione promosse da Dismeco, prima azienda in Italia ad allestire un laboratorio strutturato in un penitenziario. Iscritta all’albo metropolitano delle imprese socialmente responsabili e all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, l’azienda è operativa nell’intera Emilia Romagna dal 1977, prima nata in Italia nel settore, e fin dalla sua nascita ha sempre posto in prima linea i valori etici e di responsabilità sociale.
In linea con questa visione, Dismeco ha contribuito al progetto “RAEE in carcere” offrendo ai detenuti di Bologna una reale opportunità di formazione professionale, da poter spendere in futuro in ambito lavorativo, assicurando loro una diversa prospettiva di vita. Questo progetto consentì di trasformare la competenza certificata e specializzata di Dismeco nel trattamento dei rifiuti tecnologici in un valore per la comunità, dimostrando che l’impresa può essere un vettore di cambiamento.
L’impegno sociale di Dismeco continuò anche nelle scelte effettuate come l’assunzione di un detenuto nel 2011, che ottenne la possibilità di lavorare al di fuori dell’istituto penitenziario. Questo è solo uno degli esempi dell’approccio lungimirante dell’azienda, che da sempre vede nella responsabilità sociale e nell’economia circolare il traino del futuro economico, a beneficio non solo dell’ambiente ma anche delle persone.
Come afferma il suo presidente, il Dott. Claudio Tedeschi, Dismeco non si limita a essere un operatore economico, ma si impegna a fornire un valore aggiunto al territorio, contribuendo a una sinergia costante con la comunità, ad esempio attraverso progetti come il “Borgo Ecologico” o “Utile“. Due iniziative che, al pari di “RAEE in carcere” e altre ancora, promuovono un nuovo modo di concepire l’ecologia, per dimostrare che la sostenibilità ambientale ha un impatto economico, sociale e culturale.

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